La necessità di continuare a muoversi di Katalin Trencsényi [1]

Questo articolo è stato pubblicato sul sito Dramaturgs’ Network’s (www.dramaturgy.co.uk) e fa parte della serie Invisible Diaries.

Traduzione del testo: Giusi Nibbi


 

Questo post è dedicato ai miei amici, drammaturghi e operatori culturali che hanno lavorato minuziosamente al programma MMDD [Micro and Macro Dramaturgy in Dance]:
Guy, Gerarda, Maja, Anne-Marije, Cristina, Alessia,
Alessandra, Velia, Alexis, Helee, Wim, Annelie,
Yvona, Zuzana, Markéta, Júlia, Katja e Andrea.

Fino a poco tempo fa sapevo cosa avrei fatto oggi. A tutti gli effetti, per circa un anno, l’ho concepito, pianificandolo e preparandolo meticolosamente con tutti i colleghi menzionati nella dedica.

Secondo questo programma oggi mi sarei alzata presto, avrei preso la metropolitana, poi un treno veloce per l’aeroporto, sarei salita su un aereo, sarei poi salita su un altro treno, poi i miei colleghi italiani mi sarebbero venuti a prendere alla stazione ferroviaria e dopo circa un’ora di viaggio in un minibus, sarei arrivata ad Anghiari in Toscana. Gerarda, il mio anfitrione, mi avrebbe dato un caloroso benvenuto, e subito dopo, sulla terrazza del ristorante locale, davanti un piatto di pasta e una brocca di vino rosso locale, Guy ed io ci saremmo scambiati annotazioni e appunti. Lui sereno, io energica, entrambi saremmo stati entusiasti di lanciare la prima residenza di 10 giorni del nostro progetto della durata di due anni finanziato da Europa Creativa: Micro and Macro Dramaturgies in Dance [La Micro e Macro Drammaturgia nella Danza].

Il team scientifico di MMDD a Praga (da sinistra a destra): Katalin Trencsényi, Guy Cools, Maja Hriešik e Anne_Marije van den Bersselaar (Fotografia di Anne-Marije van den Bersselaar).

 
Potrei dirvi cosa avevamo programmato di realizzare in questo progetto pionieristico, giorno dopo giorno, ora dopo ora, stavamo tessendo insieme, o meglio lo stavamo realizzando con la precisione di una ricamatrice di merletti con la saggezza e l’esperienza dei colleghi del team scientifico e l’esperienza e la conoscenza dei nostri partner locali e ospiti delle sei organizzazioni europee partecipanti.

L’obiettivo di questo progetto internazionale era duplice: quello di esplorare la macro-drammaturgia nella danza, cioè di utilizzare la danza contemporanea come strumento socio-critico, per rispondere a e lavorare sulle esigenze e i desiderata delle comunità locali; e quello di insegnare la drammaturgia della danza e di diffondere idee su di essa in un contesto più ampio. Tutto ciò che avevamo pianificato era il risultato di una collaborazione tra le organizzazioni partecipanti (che ha implicato un lavoro scrupoloso e talvolta frustrante fatto di negoziazioni e preparazione). Abbiamo risposto alle richieste e agli interessi percepiti di comunità variegate e di diverse città che spaziavano dalla piccola comunità agricola alla città metropolitana – lavorando con gli artisti locali per creare questo bellissimo progetto. Tra qualche mese avremmo condiviso con voi il video, che avrebbe documentato il primo “atelier” italiano: i workshop, le conferenze, gli eventi comunitari, ecc., e contemporaneamente ci saremmo preparati per la successiva fase del progetto, la seconda residenza nei Paesi Bassi. Tra due anni vi avrei invitato a partecipare online o di persona al nostro festival di condivisione e chiusura del progetto a Praga.

Sebbene non sia mai stata ad Anghiari (e del resto nemmeno a Polverigi, dove avrebbe dovuto svolgersi la seconda parte dell’atelier, alla fine di questo mese), attraverso il nostro dettagliato lavoro preparatorio, la ricerca, gli incontri, le chiamate via Skype e la corrispondenza, ho capito di aver maturato un affetto e forse una conoscenza intima di quei luoghi. Mi chiedo, come stanno gli anziani (ottantenni) di Anghiari dai quali stavamo per ascoltare, e praticare con loro a cena, la “poesia popolare medievale”, l’ottava rima’, tradizione ancora viva che consiste nel recitare rime improvvisate e che ha avuto origine nella regione in cui è stata praticata da quando Boccaccio le ha usate nel XIVth secolo? Mi chiedo, come se la cava quello chef imprenditore e proprietario di un ristorante, che ha spostato la sua attività dalla vicina grande città all’assai più piccola Polverigi , al fine di supportare e sostenere la comunità locale in declino attraverso il cibo, la musica e la danza? Gli artisti, i danzatori, i coreografi, i drammaturghi, i performer e gli artisti visivi sopravviveranno dal punto di vista sanitario e finanziario fino al prossimo anno? La nostra richiesta supererà i vari passaggi burocratici dell’UE e ci sarà concesso il permesso di rinviare il nostro progetto e riprogrammare le residenze nello stesso periodo dell’anno prossimo? Riuscirà la stessa Unione Europea a sopravvivere a questo shock e al fatto che non è riuscita a rispondere rapidamente o a mostrare leadership e solidarietà in questa crisi?

Sopravviveranno quelle comunità che volevamo coinvolgere e con cui volevamo lavorare? Giovani e anziani, migranti e uomini e donne socialmente emarginati, artisti e cittadini con i quali e per i quali questo progetto è stato ideato, nella speranza che ciò a cui diamo inizio sia solo un impulso, e che la sua influenza si possa dipanare e possa dar corpo ad un cambiamento positivo.

Penso a queste persone. Persone che ho conosciuto durante quest’anno di lavoro preparatorio, e persone che stavo per incontrare. Sento che tra di noi si stava sviluppando un’amicizia e ora sento un crescente desiderio e bramosia di riconnettermi fisicamente con loro. Le strette di mano, i sorrisi, i gesti, gli abbracci che dovevamo condividere. L’esperienza della fisicità dell’altra persona in uno spazio condiviso. I corpi splendidamente agili di quei danzatori e la loro espressività quando si muovono nello studio di danza e negli spazi pubblici di queste città. La curiosità, la giocosità e la gioia fisica di esplorare un nuovo luogo insieme, assaporando le sue sorprese e rendendolo un po’ familiare. Le orme e i gesti che ci saremmo lasciati alle spalle.

Il piacere di connetterci emotivamente e fisicamente, il brivido e la sensualità nel lasciare un’esperienza risuonare con i nostri corpi e nel creare un movimento corrispondente. Il potere sensuale del movimento e dei gesti… come questi possono raggiungere le persone senza bisogno di parole connettendosi con loro profondamente.
“La necessità di continuare a muoversi” (per ricordare qui il titolo di un saggio stimolante sulla drammaturgia del XXI secolo di Duška Radosavljevic), per creare danza per la giocosità, la bellezza, la comunicazione, la connessione, la sopravvivenza, il sollievo, il lutto, la celebrazione, la guarigione – per condividere in un linguaggio universale cosa significa essere un essere umano. Sento che ne abbiamo bisogno più che mai.

Fino ad allora, prendetevi cura di voi, miei cari amici – andrà tutto bene!

Questo post è apparso sul sito web di Dramaturgs’ Network il 15 aprile 2020, come parte della serie Invisible Diaries, ed è stato ripubblicato con il permesso dell’autrice.
 
#InvisibleDiaries #MMDD


 

Katalin Trencsényi è drammaturga e ricercatrice di origine ungherese, che vive e lavora a Londra. Prima del Covid (AC), le sue aree di interesse erano il teatro contemporaneo e lo spettacolo, la drammaturgia della danza, i processi collaborativi e lo sviluppo teatrale multi-modale. Ora è più interessata a pensare all’epidemia e al teatro. Come drammaturgo indipendente, Katalin ha lavorato, tra gli altri, con il National Theatre, il Royal Court Theatre, la Corali Dance Company, la Company of Angels. Katalin ha insegnato drammaturgia a livello internazionale: si citano qui Australia, Belgio, Canada, Russia e Stati Uniti, e dal 2015 al 2019 ha lavorato come tutor presso la Royal Academy of Dramatic Art (RADA). Katalin è autrice di Dramaturgy in the Making. A User’s Guide for Theatre Practitioners (2015), redattrice di Bandoneon: Working with Pina Bausch (2016), co-editore di New Dramaturgy: International Perspectives on Theory and Practice (2014), e redattrice della sezione drammaturgia del portale teatrale globale, TheTheatreTimes.com.

Nota [1]:
Con l’intento giocoso che deriva dal mio desiderio di riconnettermi al discorso offerto da questi eminenti pensatori, ho deciso di scegliere per ogni titolo dei miei articoli del mio blog, il titolo quello di un saggio sulla drammaturgia che trovo stimolante. Spero non dispiaccia ai rispettivi autori che io richiami il loro lavoro in questo modo. Il titolo di oggi è preso in prestito da un saggio di Duška Radosavljevic.

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